Stent vascolari periferici

La presenza di malattia ateromasica o aterosclerotica può causare una riduzione del calibro delle arterie, portando a una diminuzione del flusso sanguigno e possibili fenomeni ischemici. Per trattare queste condizioni, viene utilizzato uno stent, una struttura metallica cilindrica a maglie, che viene posizionata e dilatata nel lume dell’arteria per ridurre la stenosi (restringimento) e ripristinare il flusso sanguigno a livello dell’ostruzione, sia a breve che a lungo termine.

Il processo di impianto dello stent viene eseguito in una sala angiografica. Si pratica una puntura, solitamente a livello dell’arteria femorale, sotto anestesia locale, e vengono introdotti cateteri fino all’arteria interessata. Un palloncino viene gonfiato nella sede della placca per dilatare lo stent e posizionarlo all’interno dell’arteria. La procedura non richiede anestesia generale. Recentemente, sono stati introdotti stent ricoperti da farmaci anti-infiammatori o anti-proliferativi, che hanno dimostrato di essere più efficaci dal punto di vista clinico. Al termine della procedura, il sito di accesso del catetere viene sottoposto a una procedura compressiva per favorire la guarigione. Oggigiorno, si utilizzano spesso sistemi di emostasi che evitano la compressione manuale e permettono al paziente di camminare dopo circa un’ora.

Gli stent hanno diverse applicazioni per diversi tipi di condotti biologici. Il loro principale scopo è correggere significative diminuzioni del diametro di un vaso sanguigno o di un dotto quando l’angioplastica a palloncino da sola non ha fornito risultati soddisfacenti. Oltre alle coronarie, gli stent sono utilizzati per rendere pervie altre strutture tubolari, come le arterie centrali e periferiche, le vene, il dotto biliare, l’esofago, il colon, la trachea, l’uretere e l’uretra.

Tuttavia, uno degli inconvenienti degli stent vascolari è il potenziale sviluppo di neointima, uno spesso tessuto muscolare all’interno del lume, che può occludere il vaso (restenosi). Questo può rendere necessario un reintervento. Gli sforzi attuali della ricerca si concentrano sulla riduzione della crescita della neointima dopo l’installazione dello stent, con l’uso di materiali più bio-compatibili, stent ricoperti da farmaci e stent riassorbibili.

L’origine della parola “stent” è incerta, ma potrebbe derivare dal verbo “to stent” utilizzato nel processo di inamidazione degli abiti in inglese antico. Alcuni credono che possa derivare da Jan F. Esser, un chirurgo plastico olandese che utilizzò questa parola nel 1916 per descrivere un composto per impronte dentali inventato da Charles Stent, un dentista inglese del XIX secolo. Il termine si è poi esteso all’uso del dispositivo per ricostruire e rendere pervie varie strutture corporee.