Il trattamento delle patologie vascolari nel paziente affetto da vasculopatia periferica (ossia una condizione che colpisce le arterie delle gambe e dei piedi) si basa principalmente su tre approcci terapeutici differenti.
La prima modalità è quella medica, la quale consiste nella somministrazione di farmaci con l’obiettivo di migliorare il flusso sanguigno verso le arterie dell’arto inferiore.
Un secondo approccio è quello della Radiologia Interventistica, dove le arterie vengono trattate dall’interno utilizzando palloncini per dilatare i vasi e successivamente rimossi, o con l’inserimento di retine metalliche o stent per mantenere le arterie aperte con forza. Questa tecnica, nota anche come terapia endovascolare, viene eseguita senza necessità di tagli chirurgici, ma attraverso piccole incisioni di circa 2-3 mm all’inguine o alla piega del gomito, utilizzando una semplice anestesia locale.
Infine, c’è l’opzione della chirurgia, un metodo più invasivo e cruento, che rimane ancora essenziale in molti casi, ma il cui utilizzo è in costante riduzione sia in termini di indicazioni sia di esecuzioni.
Purtroppo, finora la terapia medica (cioè tramite farmaci) risulta essere poco efficace nel paziente affetto da vasculopatia diabetica periferica. Questa opzione è prevalentemente utilizzata per prevenire un peggioramento delle condizioni delle arterie o per evitare re-occlusioni precoci dopo un intervento chirurgico o endovascolare (Radiologia Interventistica). In alcuni casi, può essere somministrata per via venosa durante il ricovero per 24-48 ore (Prostanoidi) con un iniziale beneficio, ma con effetti limitati nel tempo. Nei pazienti con ulcere estese e con una bassa ossigenazione al dorso del piede (TcpO2 < 30), la terapia medica non dovrebbe essere considerata come unico approccio terapeutico, ma dovrebbe essere sempre associata, se possibile, a un intervento di Radiologia Interventistica e/o chirurgico.
La terapia di radiologia interventistica
La Radiologia Interventistica (RI) ha subito un notevole sviluppo e una rapida evoluzione grazie ai progressi tecnologici e alla disponibilità di materiali sempre più avanzati e specializzati.
Le procedure di RI nel campo vascolare sono basate su una tecnica radiologica chiamata angiografia. Attualmente, la metodologia più comune per eseguire un’angiografia è la puntura dell’arteria femorale, utilizzando la tecnica di Seldinger ideata negli anni ’50. Si devono inoltre ricordare le innovazioni di Judkins e Sones nei metodi percutanei e nello sviluppo delle tecniche coronarografiche.
Nel 1964, il dottor Charles Dotter per la prima volta trattò casualmente una stenosi dell’arteria iliaca utilizzando cateteri progressivamente più grandi durante un’angiografia cerebrale. La paziente si rese conto, dopo 24 ore, che la claudicazione dell’arto inferiore era scomparsa e che poteva camminare senza impedimenti, con una completa guarigione dopo alcune settimane. Fu così eseguita la prima angioplastica nella storia.
La RI si è affiancata alle tecniche chirurgiche tradizionali e, soprattutto negli ultimi anni, spesso le ha sostituite grazie ai suoi vantaggi distintivi:
- La maggior parte delle procedure viene eseguita con anestesia locale nel 90% dei casi.
- Richiede tempi di degenza molto brevi e talvolta può essere effettuata in regime ambulatoriale.
- Le tecniche di RI sono considerate mini-invasive, poiché nel 90% dei casi vengono eseguite per via percutanea, evitando l’esposizione chirurgica dell’organo trattato.
- I rischi della RI sono notevolmente inferiori rispetto alla chirurgia e, nella maggior parte dei casi, sono trascurabili.
Tuttavia, la RI presenta alcuni svantaggi:
- Si rende spesso necessario l’uso delle radiazioni X per guidare e controllare le procedure, esponendo sia il paziente che, in parte, l’operatore.
- Si utilizzano mezzi di contrasto intra-arteriosi o intra-venosi.
- Il successo della procedura è strettamente legato all’esperienza dell’operatore.